Nella sentenza del 5.1.2018 n. 146 (Cass. Sez. Lavoro), il dipendente, un operaio, aveva proposto ricorso avverso la sentenza che aveva escluso la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro per i danni subiti a causa di un infortunio accaduto durante il completamento dei lavori di impianto di alcuni pali elettrici.

Avendo il ricorrente rilevato che il ramo di un albero poggiava su di un cavo elettrico, i componenti della squadra da lui stesso guidata avevano deciso di tagliarlo. Perciò indossata l’attrezzatura di lavoro, l’operaio era salito sulla scala a pioli appoggiata all’albero, e mantenuta a terra da un operaio, cadendo al suolo per l’improvviso distacco della scala dal sostegno.

I giudici di merito avevano respinto la richiesta risarcitoria del lavoratore, sulla base della mancata allegazione, ex art. 2087 c.c., della prova del fatto costituente l’inadempimento della società datrice di lavoro e della correlazione causale di tale inadempimento con il danno subito.

La Cassazione ha confermato l’infondatezza delle pretese risarcitorie del ricorrente, ricostruendo la natura dell’obbligo legale di prevenzione imposto al datore di lavoro, ma anche dei precisi limiti oltre i quali nessun addebito nei suoi riguardi potrebbe trovare accoglimento.

In primo luogo è stata sottolineata la natura sussidiaria dell’art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema antinfortunistico, idonea a ricomprendere tutte le misure che – nonostante non siano espressamente considerate e valutate dal legislatore in norme di legge – appaiano idonee, secondo la migliore scienza ed esperienza, nonché, sulla base delle particolarità del lavoro, necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

La Corte ha spiegato che l’interpretazione estensiva dell’art. 2087 c.c. non può spingersi sino a addebitare una responsabilità oggettiva dell’imprenditore per ogni infortunio occorso ai dipendenti in azienda, poiché, per imprescindibili principi costituzionali, la responsabilità datoriale deve necessariamente essere ricollegabile ad un comportamento colpevole, riconducibile alla violazione di uno specifico obbligo di sicurezza ben identificabile.

Gi oneri probatori nella domanda di risarcimento del danno da infortunio sul lavoro sono esattamente indicati all’art. 1218 c.c.: il lavoratore che lamenti di aver subito un danno, deve allegare e provare l’esistenza dell’obbligazione lavorativa, l’esistenza del danno ed il nesso causale tra quest’ultimo e la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare la dipendenza del danno da causa a lui non imputabile e, cioè, di aver adempiuto interamente all’obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure necessarie ad evitare il danno, incluse quelle previste, e spesso non scritte, della massima sicurezza tecnologicamente fattibile di cui all’art. 2087 del codice civile.

La Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: “alla stregua dell’ art. 2087 c.c., non è ipotizzabile a carico dell’imprenditore un obbligo di sicurezza e prevenzione anche in relazione a condotte del dipendente che, pur non rientranti nella nozione di inopinabilità e di abnormità, siano state poste in essere successivamente al compimento della prestazione lavorativa richiesta, perché non rientranti nella suddetta prestazione e perché effettuate senza darne allo stesso preventiva comunicazione secondo le direttive impartite.

Corollario di tale principio è che la parte datoriale non incorre nella responsabilità di cui alla norma codicistica per non avere fornito le attrezzature necessarie a tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore nello svolgimento della non prevista prestazione né di non avere esercitato il controllo sulla conseguente esecuzione nel rispetto dei paradigmi di sicurezza legislativamente richiesti”. Proprio perché si tratta di prestazione non richiesta, non prevista, possiamo perciò affermare che tale comportamento ha attivato un rischio eccentrico o, se si vuole, esorbitante dalla sfera di rischio governata dal soggetto al quale viene attribuito l’evento.