La Corte d’appello di Torino condannava il consigliere di una società, in qualità di datore di lavoro, per lesioni personali colpose gravi, ovvero per aver cagionato al dipendente una ferita del 3° e 4° dito della mano destra e del tendine estensore. L’addebito era quello di aver tenuto una condotta con colpa, consistita in negligenza, imprudenza e imperizia per non aver messo a disposizione idonei DPI (guanti anti-taglio).

L’imputato proponeva ricorso per cassazione.

La IV Sezione Penale della Corte di Cassazione, dunque, con sentenza n. 22628, depositata il 10 giugno 2022, annullava la decisione della Corte territoriale, ritenendo che essa non si fosse attenuta al cosiddetto principio della “esigibilità del comportamento dovuto”. In particolare, veniva addebitata all’imputato la colpa con responsabilità oggettiva dell’evento.

La suprema Corte, anzitutto, ricordava che la colpa ha un versante oggettivo e uno soggettivo. Il primo è connesso alla condotta dell’agente, basato sulla verifica che effettivamente la norma sia stata violata; l’altro è, invece, incentrato sulla possibilità che ha avuto l’agente di osservare la regola, ovvero se avesse potuto comportarsi diversamente rispetto a come ha fatto, rispettando la norma, ed evitando così l’evento.

In sostanza, per verificare la sussistenza dell’aspetto soggettivo della colpa, occorre verificare che l’agente abbia potuto rispettare la regola e, di conseguenza, se si possa da lui pretendere l’osservanza della medesima regola: è questo il principio della “esigibilità del comportamento dovuto”.

Nel caso di specie, il datore di lavoro aveva stipulato un contratto con un’azienda per la consulenza in materia di sicurezza sul lavoro. La Corte di Cassazione sul punto ricordava che “il conferimento di una specifica attività di consulenza nel settore della sicurezza, pur non operando in termini di delega di funzioni, ex art. 16 D. Lgs. 81/08, comporta che venga accertata la sussistenza della concreta possibilità del datore di lavoro di uniformarsi alla regola violata, valutando la situazione di fatto in cui ha operato”.

E così, la suprema Corte riteneva impossibile addebitare una responsabilità soggettiva al datore di lavoro senza aver prima condotto una verifica sulla effettività della consulenza, sulla professionalità del consulente e sulla esperienza e specializzazione del settore, in relazione anche e soprattutto alla scelta operata sui DPI.

L’imputato veniva, così, rinviato di nuovo a giudizio, presso altra sezione della Corte di Appello di Torino, la quale, ha il compito di valutare le responsabilità del datore di lavoro alla luce del citato principio di “esigibilità del comportamento dovuto”.

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