Granitico è l’arresto giurisprudenziale n. 9028 della Suprema Corte del 17 marzo 2022 che torna a pronunciarsi, senza lasciare molto spazio a libere interpretazioni, in tema di responsabilità esclusiva del datore di lavoro per alcune violazioni del Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro.

Il caso in esame vede un dirigente, quale soggetto delegato dall’amministratore di una società, condannato dal giudice di prime cure in relazione alle accuse di violazione dell’art. 29, comma 1 e dell’art. 17, comma 1 del D.Lgs.81/08 e s.m.i., mentre il medesimo amministratore assolto per insussistenza del fatto. Le condotte addebitate al dirigente erano, nello specifico, riferite all’omessa valutazione del rischio (DVR), con particolare riferimento ai rischi connessi alle “malattie trasmissibili da pandemia Covid-2019”, e all’omessa designazione del Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (RSPP). D’altro verso, invece, il Giudice per le indagini preliminari aveva assolto per insussistenza del fatto l’amministratore, ritenendolo non qualificabile come datore di lavoro poiché questi aveva delegato gli adempimenti prevenzionistici al predetto dirigente aziendale.

Il Procuratore Generale del Tribunale di Savona non condivideva affatto le motivazioni del G.I.P. e, di conseguenza, proponeva ricorso avverso la sentenza di proscioglimento innanzi alla Corte di Cassazione, basando la propria impugnazione sulla erronea interpretazione data dal giudicante al dato normativo di cui all’art. 2, lett. b) del D.Lgs. n. 81 del 2008 e di cui all’art. 17.
Il ricorrente, quindi, sosteneva che la qualifica di “datore di lavoro”, così come data dal citato art. 2 e rilevante ai fini delle violazioni contestate, competesse unicamente al soggetto assolto in quanto consigliere delegato, CEO e capo dell’azienda e, quindi, titolare del rapporto di lavoro, avendone egli la responsabilità dell’organizzazione ed esercitando i poteri decisionali e di spesa. Con la conseguenza che, in applicazione anche del dettato normativo di cui all’art. 17, che esclude in modo espresso che la facoltà di delega operi per la valutazione dei rischi e la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, l’amministratore doveva essere necessariamente chiamato a rispondere delle omissioni contestate erroneamente al delegato.
Nel pronunciarsi e rinviare per nuovo giudizio, dunque, la Corte di Cassazione ha affermato il principio secondo il quale la valutazione del rischio di cui trattasi (ovvero di tipo generico e non specifico) in aziende strutturate secondo più unità locali e con più dirigenti al vertice, resta obbligo esclusivo del datore di lavoro “apicale” e non già dei suoi sottoposti, seppur muniti di idonea delega per lo svolgimento delle attività di legge a tutela dei lavoratori.
Nello specifico sono risultati determinanti, ai fini della decisione, i seguenti elementi:

  1. all’interno della medesima organizzazione lavorativa vi era la presenza di una pluralità sia di unità produttive che di soggetti che rivestivano la qualifica di “datori di lavoro”, pur tuttavia deve essere applicata alla lettera la norma di cui all’art. 17, comma 1 del D.lgs.81/08; ragion per cui “la previsione normativa che prefigura la possibilità di avere nell’ambito di una medesima impresa una pluralità di datori di lavoro non permette di proiettare gli effetti del singolo ruolo datoriale sull’intera organizzazione”, “il datore di lavoro sottordinato è quindi destinatario di tutte le prescrizioni che si indirizzano alla figura datoriale; ma entro la in funzione della gestione della sicurezza nell’ambito dell’unità organizzativa affidatagli”;
  2. il rischio è stato ritenuto generico (nella specie quello connesso alle “malattie trasmissibili da pandemia Covid-2019”,) e non specifico per le singole unità produttive, tanto che la sua gestione presupponeva poteri non disponibili a quei datori di lavoro “sottoposti”; in altre parole , “una volta individuato il rischio come non specifico delle attività svolte nelle singole attività […] è del tutto conseguente che la valutazione di tale rischio è oggetto di un obbligo che fa capo al datore di lavoro “apicale”.

Avv. Pasquale Fallacara