Sono tutt’altro che infrequenti le notizie che rimbalzano sui mass media locali e nazionali e che riguardano le morti bianche. Nelle ultime settimane a riempire le pagine di cronaca dei giornali, accanto alla guerra ucraina, c’è stata la notizia di un ennesimo operaio deceduto durante il lavoro. Stavolta a Bari, stavolta una persona non così giovane, un settantottenne. Una tendenza, quella delle morti bianche, mai veramente in declino, con numeri drammatici: 51 in Puglia e 10 nell’area metropolitana di Bari è il numero dei morti sul lavoro dello scorso anno.
Evitando di sentenziare sommariamente sul perché e il per come una persona di settantotto anni si sia trovata ancora nei luoghi lavoro e tralasciando l’aspetto umano della tragedia, quello che appare ancora poco chiaro è come sia possibile che, ancora oggi, i datori di lavoro non abbiano piena coscienza del rischio che corrono non investendo nella sicurezza. In altre parole, può davvero essere che il mero ricavo economico sia avvertito come elemento prevalente e preponderante rispetto alle dinamiche ed ai costi della tutela della salute e, ancor più, della vita di un uomo? Può davvero un datore di lavoro ritenere erroneamente che l’infortunio sia determinato dalla fortuna, piuttosto che prevenire quanto più possibile ogni evento nefasto ed investire nella formazione del personale, nell’acquisto di attrezzature adeguate e nell’adozione di un corretto piano di sorveglianza sanitaria e uno di costante monitoraggio e aggiornamento dei rischi?
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La risposta, purtroppo, la riceviamo ancora dai fatti: sì. Il punto è che, numeri alla mano, nemmeno le sanzioni comminabili secondo il D.Lgs. 81/08, meglio noto come Testo Unico della Sicurezza sul Lavoro, sembrano poter essere il vero deterrente dell’agire contra legem. Nel caso di specie, la Procura di Bari ha aperto un’indagine per omicidio colposo. Tuttavia, sin quando non si saranno appurate le dinamiche dell’incidente, non può essere confezionata la violazione concreta della normativa a presidio dei lavoratori negli ambienti di lavoro. In ogni caso, ad avviso di chi scrive, data anche l’età anagrafica della vittima, tra le altre, saranno da accertare anche le responsabilità in ordine all’art. 18, comma 1, lettera c) del D.lgs. 81/08 e s.mi., a mente del quale il datore di lavoro “nell’affidare i compiti ai lavoratori, tiene conto delle capacità e delle condizioni degli stessi in rapporto alla loro salute e sicurezza”. Sul punto la Cassazione Penale si è più volte pronunciata, giungendo ad affermare che quella poc’anzi citata è “[…] una previsione che guarda in primo luogo alla assegnazione delle mansioni in via preventiva e generale, ma alla quale non sfugge anche la quotidiana replica del conferimento di compiti al lavoratore da parte del datore di lavoro. Diverse le ipotizzabili modalità di adempimento degli obblighi ma comune l’obiettivo di assicurare che il lavoratore sia in condizioni che permettano lo svolgimento in sicurezza della attività lavorativa” (Cass. Pen., Sez. IV, Sent. n. 38129 del 17.09.2013)
E dunque, più che puntuali e condivisibili risuonano le parole del segretario generale della Cisl Puglia, Antonio Castellucci che dalle pagine di un noto quotidiano pugliese, in riferimento al tragico avvenimento, ha dichiarato: “La lotta agli infortuni sul lavoro è una questione da affrontare con un approccio prima di tutto culturale. Al di là delle ispezioni degli enti preposti, è fondamentale una cultura della prevenzione dei rischi”.
Avv. Pasquale Fallacara
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