Il Tribunale di Brindisi condannava, nell’ottobre 2021, un odontoiatra alla pena di € 1.200 di ammenda per non aver elaborato un congruo documento di valutazione dei rischi (DVR) in relazione al proprio studio (art. 55, comma 4, D.Lgs. 81/08 e smi), omettendo di valutare i rischi per la sicurezza e la salute delle lavoratrici, in particolare quelli di esposizione ad agenti fisici, chimici o biologici, processi o condizioni di lavoro.
Nel proporre opposizione presso la Suprema Corte, il datore di lavoro sosteneva che lo studio occupava un’unica lavoratrice e che il rischio di esposizione ad agenti chimici e biologici era basso e che, perciò, nel rispetto dell’art. 6 del D.Lgs. 81/08, la valutazione dei rischi e l’individuazione delle misure di prevenzione e di protezione potevano essere effettuate secondo le procedure standardizzate. Inoltre, era emerso che lo studio odontoiatrico non aveva lavoratrici in età fertile e che, comunque, il DVR conteneva, al riguardo, indicazioni sulle eventuali misure da adottare.
Partendo dal principio consolidato che il datore di lavoro ha l’obbligo di analizzare ed individuare tutti i fattori di rischio realmente sussistenti all’interno dell’azienda e, all’esito, deve redigere e aggiornare periodicamente il DVR, la III Sez. Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 36538 del 27/09/2022, ricorda che “Le sanzioni penali previste nel caso di omessa, o incompleta, valutazione dei rischi operano anche nei confronti dei datori di lavoro che occupino fino a dieci addetti, in quanto le modalità semplificate di adempimento degli obblighi in materia di valutazione dei rischi, previste per tali aziende, non esonerano il datore di lavoro dai relativi obblighi. Anche in queste ipotesi, le modalità pur semplificate di adempimento dell’obbligo di valutazione richiedono l’individuazione degli specifici pericoli cui i lavoratori sono sottoposti e la specificazione delle misure di prevenzione da adottarsi”.
Dunque, la relazione contenente la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro è qualificabile, ai sensi del D.Lgs. 81/08, come DVR se e solo se presenta come contenuto minimo la valutazione di tutti i pericoli dell’attività lavorativa, anche di quelli potenziali (“La circostanza che i rischi non siano attuali, in quanto non vi sia tra il personale una donna in gravidanza, non esime il datore di lavoro dalla valutazione imposta dal D.Lgs. n. 151 del 2001 art. 11, dovendo egli comunque compilare il DVR considerando tutti i rischi ipotetici e le misure di prevenzione da adottarsi nel caso di gravidanza.”), e l’indicazione delle misure di prevenzione e protezione attuate, nonché dei dispositivi adottati.
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Nel caso di specie, il Collegio osservava che il DVR oggetto di violazione conteneva valutazioni “in termini del tutto generici, senza che vi sia alcun riferimento concreto alla mansione svolta […], senza alcuna specifica individuazione dei fattori di rischio correlati alle mansioni ed all’attività svolta”; anche le misure di prevenzione e protezione riportate erano generiche ed insoddisfacenti già per il giudice di primo grado.
Ciò ritenuto, i Giudici Supremi hanno deciso che la sentenza impugnata aveva, quindi, correttamente affermato che “un’adeguata valutazione del rischio deve analizzare il pericolo connesso alle lavorazioni o all’ambiente di lavoro non solo in modo generico, ma in relazione alla concreta situazione dell’azienda ed alla casistica effettivamente verificabile.” Pertanto, hanno confermato quanto contestato dal giudice di prime cure: il DVR redatto dal ricorrente non rispettava detto principio di specificità, così violando il D.Lgs. n. 81 del 2008 art. 28, comma 2, lett. a).
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