Sono ancora moltissimi gli infortuni gravi e mortali che avvengono per la presenza di lavoratori o terze persone nel raggio d’azione delle macchine. E in questi casi di chi sono le responsabilità dell’infortunio? Dei lavoratori? Di chi ha incarichi di sorveglianza o prevenzione?
La ricostruzione dell’evento
In particolare l’evento riguarda la caduta di un bozzello, conseguenza di un errore di manovra da parte di un gruista, che durante la manovra di allungamento del braccio del mezzo meccanico non provvedeva al corrispondente svolgimento del cavo di acciaio della gru, per cui il cavo veniva tranciato dallo stesso bozzello che, cadendo verso il basso, investiva il povero lavoratore
Ciò avveniva mentre costui si trovava, unitamente ad alcuni operai, al di sotto del braccio della gru, durante la fase di traslazione di due travi che in quel momento si trovavano a circa un metro dal suolo e che erano accompagnate in tale moto dai due predetti operai.
Il capocantiere aveva l’obbligo, durante la lavorazione, di far rispettare la regola cautelare in base alla quale nessuno avrebbe dovuto trovarsi al di sotto del braccio della gru. La necessità di guidare le lunghe travi al fine di evitarne oscillazioni nell’aria, avrebbe dovuto essere soddisfatta non mediante una guida manuale bensì attraverso l’impiego di funi affidate agli operatori a terra, posizionati a distanza rispetto al braccio del mezzo.
Contro la sentenza il difensore del capocantiere ha proposto ricorso per cassazione con tre diversi motivi:
- Violazione di legge e vizio di motivazione nella individuazione della regola cautelare violata;
- Violazione di legge e travisamento della prova;
- Erronea applicazione della legge penale.
Le indicazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione indica che il primo motivo dì ricorso è infondato. E, a questo proposito, si indica che in questo caso ci si trova di fronte ad una c.d. “doppia conforme” di condanna, per cui le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. E le motivazioni combinate delle due sentenze di merito sfuggono ai rilievi di carattere logico-giuridico prospettati dal ricorrente, avendo articolato un percorso motivazionale logico, adeguato e corretto in diritto, come tale insindacabile nella presente sede di legittimità.
In ogni caso i giudici di merito hanno sostanzialmente individuato, nei confronti del capocantiere un profilo di colpa specifica che attinge alla violazione della norma antinfortunistica, inserita nel documento di valutazione dei rischi, che imponeva di tenere gli operai al di fuori dell’area di traslazione della gru, norma che nell’occorso non è stata rispettata.
Il giudice di primo grado ha evidenziato che nel d.u.v.r. predisposto dal datore di lavoro era previsto, quale indicazione particolareggiata, quella sub H, in base alla quale durante le manovre con la gru bisogna assicurarsi che il carico sia stato ben agganciato e far allontanare tutte le persone nel raggio di traslazione del carico. Erano poi previste ulteriori misure di prevenzione, fra cui quella secondo cui, durante l’uso della macchina ‘l’operatore deve allontanare preventivamente le persone nel raggio di influenza della macchina stessa. Secondo il giudice, si trattava di colui che aveva provveduto a sottoscrivere il documento di assegnazione dell’area e che quindi aveva assunto, in loco, la posizione del capocantiere.
E secondo quanto riferito da un teste le disposizioni per effettuare l’operazione di spostamento delle barre di metallo tramite la gru furono impartite direttamente dal capocantiere, il quale, stante la sua posizione di responsabile delle operazioni, non avrebbe dovuto consentire a nessuno di stazionare nell’area mentre la gru era in movimento.
La Corte sottolinea che queste sono considerazioni corrette in diritto e non manifestamente illogiche in fatto, risultando coerente con le risultanze processuali che nell’occorso nessuno operaio avrebbe dovuto trovarsi nel raggio di azione della gru ed il capocantiere avrebbe dovuto assicurarsi che l’operazione avvenisse in sicurezza e con il rigoroso rispetto delle regole imposte dal d.u.v.r.
Inoltre la responsabilità colposa del ricorrente discende proprio dalla sua posizione di garante cui era demandato il governo del rischio connesso alla fase di lavoro in cui è avvenuto l’incidente, che gli imponeva di adoperarsi al fine di far rispettare la regola cautelare contenuta nel d.u.v.r. in relazione alle operazioni con la gru, e che invece nell’occorso è stata palesemente violata per incuria da parte del capocantiere, determinando l’evento mortale che proprio il rispetto di quella stessa regola cautelare avrebbe impedito.
E da questo punto di vista la sentenza impugnata è in linea con la costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui la responsabilità colposa implica che la violazione della regola cautelare deve aver determinato la concretizzazione del rischio che detta regola mirava a prevenire, poiché alla colpa dell’agente va ricondotto non qualsiasi evento realizzatosi, ma solo quello causalmente riconducibile alla condotta posta in essere in violazione della regola cautelare (Sez. 4, n. 40050 del 29/03/2018, Lenarduzzi, Rv. 27387001).
Al di là della pretesa di ottenere in questa sede una inammissibile rivalutazione delle prove testimoniali la doglianza appare evidentemente superata dalle superiori osservazioni in merito alla violazione della regola cautelare specifica che imponeva al capocantiere di assicurarsi che nessun operaio stazionasse nell’area interessata dal raggio di traslazione della gru.
Si indica infine che anche il terzo motivo è manifestamente infondato, sulla scorta del costante insegnamento della Suprema Corte secondo cui, in tema di delitti colposi derivanti da infortunio sul lavoro, per la configurabilità della circostanza aggravante speciale della violazione delle norme antinfortunistiche non occorre che siano violate norme specifiche dettate per prevenire infortuni sul lavoro, essendo sufficiente che l’evento dannoso si sia verificato a causa della violazione dell’art. 2087 cod. civ., che fa carico all’imprenditore di adottare, nell’esercizio dell’impresa, tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori (Sez. 4, n. 28780 del 19/05/2011, Tessari, Rv. 25076101). E ciò vale anche per il preposto del datore di lavoro.
In definitiva la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle costituite parti civili.
Fonte: puntosicuro.it