La classificazione dei rifiuti è un processo che richiede una fase di caratterizzazione chimica e chimico-fisica. E’ prevista inoltre una corretta applicazione di metodiche di campionamento e analisi adeguate e standardizzate.
Il DM 24 giugno 2015 modifica il DM 27 settembre 2010, relativo alla definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica; le principali novità introdotte riguardano l’entrata in vigore di diverse nuove normative a modifica della regolamentazione nel campo dei rifiuti.
Nonostante le sostanziali modifiche apportate dalle sopracitate normative, restano comunque validi alcuni principi di base della classificazione. Il produttore di un rifiuto è sempre e comunque il responsabile della sua corretta classificazione ed attribuzione del relativo codice CER.
I rifiuti possono essere classificabili principalmente in tre tipologie:
- Rifiuti non pericolosi “assoluti”;
- Rifiuti pericolosi “assoluti”;
- Rifiuti pericolosi o non pericolosi “a specchio”.
Rifiuti non pericolosi “assoluti”
I primi di tipi di rifiuti sono quelli che, dato il processo che li ha generati, si possano ritenere a priori non pericolosi.
A titolo d’esempio rientrano in questa categoria quei rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani (carta, cotone, vetro e plastica) e che quindi non devono essere sottoposti ad alcuna analisi chimica.
Rifiuti pericolosi “assoluti”
Rientrano tutti quei rifiuti che si possono ritenere a priori pericolosi.
Ad esempio il codice 16.06.01*, identificativo delle batterie al piombo, è ritenuto a priori pericoloso perché, sebbene il contenuto della batterie possa variare da tipo a tipo, la composizione tipica della batteria è sempre la stessa (le concentrazioni di piombo e di acido in essa contenuti sono tali da avere sempre una rilevanza ai fini della classificazione).
Per poter attribuire la pericolosità di un rifiuto è necessario attribuire le caratteristiche di pericolo mediante le frasi HP. Le frasi HP si suddividono in:
- HP8: caratteristiche di corrosività del rifiuto pericoloso, rientrano in questo gruppo, ad esempio le batterie al piombo;
- HP14: pericolose per l’ambiente;
- HP6: tossicità acuta;
- HP10: tossicità per la riproduzione;
- HP5: tossicità specifica per organi bersaglio.
Nel caso dei rifiuti pericolosi l’attribuzione di tali caratteristiche non è scontata e richiede una analisi chimica. Si pensi ad esempio ad un miscuglio di solventi organici, è evidente che una miscela di solventi non possa essere pericolosa: ma per stabilire se la pericolosità correlata alla tossicità, alla cancerogenicità o ad altre proprietà pericolose sarà necessaria l’analisi chimica e chimico-fisica.
Rifiuti pericolosi o non pericolosi “a specchio”
E’ fondamentale l’analisi chimica e chimico-fisica per quei rifiuti “a specchio”. Per questi prodotti la pericolosità non definibile a priori, poiché i processi produttivi che li generano possono avere come esito delle miscele più o meno cariche di inquinanti.
Sono definiti a specchio perché per i codici che li identificano hanno una versione duplice che ne evidenzia la pericolosità o la non pericolosità. Per tali rifiuti quindi la pericolosità viene attribuita basandosi sul confronto delle concentrazioni degli inquinanti in essa contenuti con i valori soglia stabiliti dal Regolamento UE 1357/2017.
Conclusioni
Viste le implicazioni, di carattere anche penale, che una non corretta classificazione dei rifiuti può comportare per chi ne è responsabile, è opportuno prestare particolare attenzione a tutti gli aspetti correlati con la corretta caratterizzazione.
Il campionamento non può essere fatto semplicemente riempiendo un contenitore con una palettata di solido o pescando con una brocca da una vasca di raccolta, ma deve essere eseguito a seguito di un ragionamento accurato e documentato, che garantisca la massima rappresentatività, per quelle porzione che andrà a costituire il campione di laboratorio, della massa complessiva.